domenica 3 luglio 2011

annozero

Sono nato ieri. il mio stomaco è un groviglio di serpenti che si muovono lentamente, una matassa di vite che ne formano una sola. Questo nascere è stato venire al buio. Mi concentro e i suoni intorno a me sono ovattati, non distinguo niente, è tutto fuori fuoco. Ci sono esseri che si muovono e parlano, si rivolgono a me dandomi compiti, versano parole che non ascolto perché io non mi sento le gambe, avete capito? non mi sento le gambe. Sono qui da poche ore e il mio corpo è solo un pensiero dentro una scatolacorpo. Dove sono i miei vestiti?

Non voglio nascere. Ho paura. Non voglio scendere in quel buio, mi viene da vomitare. E' una bile di immagini e ricordi intaccati dai vermi. Non lo voglio sentire il gelido dell'origine. La mia vita la ricordo. E' stata credere, volare, ero forte. L'eroe. Ma ad un certo punto è accaduto qualcosa, mi sono ammalato di un virus che ha mille nomi. Si è insinuato attraverso gli occhi, la parte esterna più sensibile del mio corpo, si è fatto strada, nutrito, infettato e se abbia preso prima il cuore o la testa non lo so, da quel punto in poi la vita è stata un cancro. Ho un cancro. Quando tocco il mio corpo provo fastidio. Ho censurato l'origine della cicatrice con il desiderio di integrazione sociale. Mi sono abituato a tutta questa luce che si indossa come un vestito aderente, preserva la forma senza mostrare la pelle, protegge dall'abbandono dei sensi. Perché devo guarire? Non ci sono medicine per l'anima. Non voglio nascere!

Mi ricordo questo livello dell'esistenza. L'ultima parola che ricordo ha due segni: IO. Poi mi sono ammalato. Ricordo com'era.
Ogni volta che mi sveglio sento di nascere per la prima volta.
Un parto anestetico, ogni volta speciale, eternamente ripetuto.
Eternamente ripetuto.
Nascere silenzioso.
Come bolle d'aria che risalgono dal mare.
E poi il respiro.
La prima cosa.
Lo sento, mi appartiene.

Le prime volte avvertivo ostilità. Identificavo le cose con lentezza, sforzo. Ora è più semplice: mi basta guardare. Ripeto lentamente due, tre volte i nomi, arrivo a sillabarli fino ad allungare il suono, esasperare le vocali...
esasperare le vocali.
Ogni suono diventa pesante, il nome inutile, il significato insignificante.
Sono diventato una bilancia.
Quantifico ogni lettera che mi appare, ogni parola.
Ho scoperto l'unità di misura delle parole.
È l'anima.
La mia è sensibile.

Ho poche cose nella mia stanza, niente che mi appartenga. I muri sono dipinti di bianco, come il letto, come i fogli che mi lasciano tenere.
Poi c'è il nero, ed è nero tutto il resto.
Il mio mondo ha solo due colori.
Il mondo ha solo due colori.

Mi chiamo IO
Mi hanno chiamato così.
Gli serviva un segno, un suono, definirmi, imprigionarmi dentro delle lettere per essere sicuri di avermi racchiuso nella loro microconvinzione di controllo, creatori universali.
IO
Breve e supremo.
Matematico.
Logico.
Acceso o Spento.
I - O
I, quando apro gli occhi. Ogni gesto una scoperta. Sento l'eco del mio respiro.
Che lettera è il respiro?
È una delle cose che mi piace, il mio respiro.
È perché non riesco a definirlo con delle lettere, non riesco a pesarlo con il mio metro.
I, quando guardo, quando sto fermo in piedi e aspetto che il corpo si muova senza comando. Mi lascio cadere, sollevo un arto, rotolo e mi arresto.
I, sono le grida, le vocali allungate, le giunture delle ossa che suonano.
I, sono il meccanismo dei miei pensieri
I è tutto il bianco, tutta la luce
I sono le secrezioni del mio corpo, quelle naturali, quelle che richiamo con la mano
I è il mio corpo dolorante, la fatica
I è uno stato di energia dentro di me che vuole uscire
I è piangere
I è tutto quello che so, e metà di quello che sono.

O, è tutto il resto.
L'altra metà, quello che non so.
Morte.
Morte?
Mor-te.
Moo-rtee.
Mooorteeee.
Mooooooorrrrrrrteeeeeeeeeeeeeeeeeeee


Anno zero, giorno primo.

Che nome devo scrivere?
Nicola.

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